Madri sterili, violenze nascoste

Violenza.

Cosa ne sai?

Un manifesto con scritta questa frase compare improvvisamente sulle pareti luride della mia città: una donna dallo sguardo compassionevole e un essere maschile con la testa rimpiazzata da uno scarabocchio nero tentano, invano, di catturare la mia attenzione di vittima in quanto DONNA.

E di alimentare in me il sospetto che ogni UOMO, in quanto tale, sia un potenziale stupratore.

I ruoli assegnati sembrerebbero questi: la vittima e il carnefice. Senza ombra di dubbio. Ma il ragionevole… dubbio che l’idea di distinguere così nettamente la buona dal cattivo non sia unanimemente condivisa mi assale dolcemente.

Eppure, la situazione sarebbe questa, netta e inequivocabile.

Gli uomini e soltanto loro violentano, uccidono, sono inclini al tradimento e la possessione è un fattore insito nel loro modo malato di approcciarsi alla fragile identità femminile.

Gli uomini picchiano, maltrattano, se ne fregano dei malesseri delle loro compagne di vita.

Parrebbe davvero così, se non fosse che anche IO, qualcosa, sappia della violenza.

Per esempio della violenza femminile sugli uomini e sui figli.

Ne so abbastanza da scriverci un libro.
Anzi, l’ho già fatto, ma potrei spingermi oltre, visto quanto mi fa vomitare il boldrinismo imperante che ci circonda.

So di non essere l’unica ad aver avuto abbastanza presto la percezione che anche le donne sappiano non essere sempre amorevoli con il prossimo o la… prossima.

Ma cosa accade se si denuncia una realtà un po’ diversa dai canoni quotidiani, che succede se ci si fa interprete di angherie consumate fra le mura domestiche per mano di una donna ai danni del marito o, ancor peggio, dei propri figli?

Ho verificato di persona che ciò provoca un certo fastidio: per alcuni/alcune, ascoltare e conoscere circostanze che possano scombussolare gli stereotipi della nostra società non è un bene.

E poi una donna “deve” essere sempre libera, si sa.

Libera di abortire, tradire, disamare, risorgere dalle ceneri di una comunità maschilista e patriarcale senza mai scontarne le conseguenze sino in fondo, grazie ad una sorta di immunità sancita sia dalla pubblica opinione che dai tribunali. E’ il suo riscatto, la sua emancipazione, il suo modo di affrancarsi dalla schiavitù degli uomini: fare ciò che vuole, in quanto donna e in quanto donna, anche vittima sempre giustificata.

Ma veniamo al dunque o, come direbbe e vorrebbe far dire l’ex presidente della Camera, alla… dunqua.

La nostra società produce madri emotivamente sterili e ne andiamo pure fieri, mentre fertile è il terreno in cui si coltiva l’ormai celebre teoria del gender.

“Non esistono differenze biologiche tra i sessi, esiste solo l’assoluta eguaglianza tra maschi e femmine”.

Anche se la donna, nell’immaginario collettivo, continua ad avere sempre la cosiddetta marcia in più… anche quando è marcia dentro.

Faccio un esempio: avete mai sentito dire o letto di una… mostra? Sì, certo. Magari quella di Picasso o Van Gogh. Ma la mostra in quanto donna che uccide un compagno o persino uno o più figli non è contemplata neppure nel lessico comune. C’è la direttora, ma non la mostra. La mostra di Cogne, per esempio. Eh no, il mostro è mostro, è solo uomo, maschio, è antropologicamente definito.

La sindaca e la ministra vanno bene, spopolano alla grande ormai anche nelle pagine dei dizionari. La mostra no.


2 pensieri riguardo “Madri sterili, violenze nascoste

  1. L’opinione pubblica e’ convinta, purtroppo, che la violenza sia solo maschile.
    Inoltre non viene contemplata la violenza “indiretta” effettuata dalle madri nei confronti degli ex-mariti ( ma anche dei figli ) attuando la cosiddetta “alienazione parentale” : un’ autentica piaga sociale, quasi del tutto ignorata !

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  2. Significativa ed efficace la tua intuizione della “mostra”. Tanti sono i termini che vengono declinati al femminile perché carichi di positività: il contrario si evita accuratamente di farlo.
    Sono tante anche le condizioni di disagio prettamente maschile che per “par condicio” vengono forzatamente declinate anche al femminile: hai già detto dei padri separati. Aggiungerei, ad esempio, che ho letto e sentito più volte sui media degli uomini “e donne” vittime sul lavoro. Ma le vittime sul lavoro sono (quasi) tutte di sesso maschile, e parlare di uomini “e donne” significa voler negare (rimuovendola) l’esistenza di una forte condizione di disagio, proprio perché specificamente maschile, una strage 10-15 volte superiore al celebratissimo “femminicidio”.
    Se, analogamente, qualcuno parlasse, ad esempio, “degli uomini e donne vittime di stupro”, sai che scandalo, che finimondo si scatenerebbe: lo stupro è una forma di oppressione dell’uomo sulla donna, anche se raramente le vittime sono maschili non si può negare l’evidenza che… eccetera eccetera eccetera.
    Sarebbe molto utile farlo invece, di abituarsi a declinare al femminile anche le cose più abiette. Aiuterebbe a capire tante cose.
    Questa propensione dell’establishement verso letture e interpretazioni semplificate della realtà “a sesso unico” e verso il pensiero unico sono preoccupanti indizi di una deriva verso la dittatura. Benvengano le voci fuori dal coro come la tua.

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